MARCO CHIAUZZA (1960), ha insegnato Filosofia e storia nei Licei ed è ora Dirigente scolastico dell’IIS “Albert Einstein” di Torino.
Presidente della Sezione di Torino “Frida Malan” e vicepresidente nazionale della Fnism (Federazione Nazionale Insegnanti), è stato relatore in interventi presso classi di scuole secondarie superiori per conto del CeSeDi (Centro Servizi Didattici della Provincia di Torino) su “Questioni di bioetica”, “Mafia e mafie” e “I filosofi e l’Europa”, e relatore in convegni e corsi di aggiornamento organizzati dalla FNISM. È nella redazione del mensile online “laicità della scuola news” e collabora regolarmente al periodico “L’Eco della scuola nuova”.
PUBBLICAZIONI:
Cittadinanza e Costituzione, allegato a Giovanni Borgognone, Dino Carpanetto, L'idea della storia, Milano, Bruno Mondadori, 2017;
Schede di Filosofia, Cittadinanza e Costituzione in Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Con-Filosofare, Torino, Paravia, 2016;
Lezioni di Cittadinanza e Costituzione, allegato a Giovanni De Luna, Marco Meriggi, Il segno della storia, Torino, Paravia, 2012;
Marco Chiauzza, Francesco Senatore, Francesco Storti, Attualità del passato, Torino, Paravia, 2008;
Dalla storia al presente. L'esigenza di una pedagogia laica, in Franco Frabboni (a cura di), Idee per una scuola laica, Roma, Armando, 2007; Il metodo, Torino, Paravia, 2003; Il tempo, Torino, Paravia, 2000.
Matteotti vivo: democrazia, scuola, laicità di Marco Chiauzza
da “laicità della scuola news” - Giugno 2024
La ricorrenza del centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti da parte di un gruppo di sicari fascisti è stata l’occasione per una serie di pubblicazioni che hanno avuto il merito di strappare il deputato socialista dal mero martirologio che per decenni ne ha concentrato la figura esclusivamente nei tragici giorni che segnarono la fine della sua esistenza. Molti hanno così potuto finalmente scoprire che l’importanza di Matteotti non si riduce alla sua morte, ma sta invece anche e soprattutto nella tenace esperienza politica degli anni precedenti, iniziata già alla vigilia della Grande Guerra nelle lotte condotte e negli incarichi amministrativi ricoperti nel nativo Polesine, e poi proseguita a Roma a partire dal 1919 come deputato, prima nelle file del Partito Socialista Italiano e successivamente – dopo la scissione comunista di Livorno del 1921 e l’espulsione dei riformisti dal PSI nel 1922 – in quelle del Partito Socialista Unitario, di cui fu anche segretario. Prima del Matteotti morto, ucciso dagli squadristi fascisti, è dunque esistito un Matteotti vivo: di quest’ultimo spetta a noi ricordare i contributi da lui forniti sui temi che più direttamente ci interessano, quelli cioè della laicità e della scuola.
Matteotti fu sicuramente un laico, pur rimanendo alieno a certi astrattismi ideologici propri in quegli anni soprattutto del mondo massonico. In effetti, egli fu sempre favorevole alla possibilità per i privati di istituire istituti scolastici, purché – per utilizzare l’espressione adottata decenni più tardi nella Costituzione repubblicana – senza oneri per lo Stato. Né in realtà fu mai direttamente ed esplicitamente ostile all’insegnamento della religione cattolica nell’ambito della scuola pubblica, ma riteneva che si dovesse portare particolare attenzione al fatto che la scelta relativa a tale insegnamento fosse esercitata dalle famiglie degli allievi liberamente, e non sotto l’influenza e la pressione del clero, allora particolarmente forte fra i contadini alla cui emancipazione sociale e culturale egli aveva deciso di dedicare gran parte del proprio impegno politico. Ma strenuamente laico fu Matteotti soprattutto nell’evidenziare la pretestuosità della rivendicazione della libertà di insegnamento da parte delle gerarchie cattoliche, la cui voce politica era rappresentata all’indomani del primo conflitto mondiale dal neonato partito Popolare. Così si esprimeva infatti il 26 aprile 1919 in un articolo pubblicato ne “La lotta”, giornale socialista del Polesine: “I clericali che sono liberi d’istituire dovunque scuole e seminari; i clericali che arrivano ad imporre il loro insegnamento anche nelle scuole dello Stato, hanno bisogno d’invocare la libertà?” Per il deputato socialista, la libertà nella scuola consiste invece essenzialmente – come ebbe a dire in un convegno del 7 novembre 1920 – nella “possibilità di comprendere e discutere tutte le tesi, tutte le conoscenze”: parole che sembrano riecheggiare la definizione salveminiana della scuola laica.
Ma Matteotti fu laico anche e soprattutto di quella laicità che non consiste esclusivamente nella rivendicazione della separazione fra Stato e chiese, bensì, in senso più ampio, nel rifiuto di ogni dogmatismo e di ogni astrattezza ideologica, e quindi nella capacità di affrontare i problemi in tutta la loro concretezza e complessità, rifiutando qualunque forma di banalizzazione o radicalizzazione schematica. Per rimanere all’ambito strettamente scolastico, egli fu sempre favorevole alla promozione della scuola popolare, intesa come strumento per acquisire gli elementi minimi di conoscenza e professionalità necessari all’emancipazione culturale, economica e sociale dei ceti popolari, in primo luogo delle masse bracciantili e contadine allora largamente analfabete o semianalfabete. Una scelta politica – allora condivisa da molti socialisti riformisti – che venne criticata ancora in decenni recenti da certa storiografia, in quanto la scuola popolare non consentiva di accedere agli studi superiori e poteva quindi apparire come espressione di una concezione classista dell’istruzione e della società. Ma Matteotti – evidentemente mosso più dall’etica della responsabilità che da quella dell’intenzione – era interessato a ciò che, nelle drammatiche situazioni di degrado di larghe fasce dei ceti popolari, potesse concretamente contribuire nel presente al miglioramento della condizione dei lavoratori; piuttosto che a ciò che astrattamente avrebbe potuto portare in un futuro non meglio precisato alla loro piena e definitiva emancipazione. Per lui il sole dell’avvenire socialista sarebbe stato solo una chimera se non fosse stato in grado di illuminare già l’oggi di pur flebili scintille di riscatto sociale; e la scuola popolare poteva rappresentare proprio una di quelle scintille.
Matteotti fu laico infine perché – se seppe essere assolutamente rigoroso nel difendere la democrazia contro la violenza fascista – volle sempre confrontarsi dialetticamente con gli avversari politici, purché anch’essi si riconoscessero nelle regole del libero confronto. Di tale atteggiamento – per rimanere nell’ambito delle questioni scolastiche – è emblematico lo scontro che lo vide contrapporsi a Benedetto Croce nella veste di ministro della Pubblica Istruzione dell’ultimo governo Giolitti. Uno scontro aspro, nel quale il deputato socialista denunciava la scarsità degli stanziamenti a favore della scuola pubblica, ma che si svolse nel reciproco rispetto fra gli interlocutori, come ebbe a riconoscere anni dopo lo stesso Croce: “Tra gli arcieri che mi prediligevano a bersaglio dei loro dardi parlamentari specialmente del lunedì, giornata delle interrogazioni, era il Matteotti […] quel deputato Matteotti che punzecchiava il disgraziato filosofo capitato sotto il tiro dei deputati […]. Come accade nelle libere dispute, consideravo il Matteotti con occhio amico quasi che fossimo attratti a vicenda ed egli mi volesse bene e non volesse dirmelo”. Quella stessa laica postura, che gli consentiva di dialogare liberamente con gli avversari a loro volta aperti al dialogo, lo portava invece a rifiutare con nettezza non solo l’autoritarismo e la violenza fascisti, ma anche qualsiasi impostazione ideologica e manichea del confronto politico. Tale atteggiamento lo portò in rotta di collisione con gli interpreti da lui considerati estremisti del socialismo, si trattasse dei massimalisti, che lo avrebbero espulso nel 1922 dal PSI, insieme all’intera componente riformista del partito; oppure dei comunisti usciti dal medesimo partito l’anno precedente. Il giudizio espresso su Matteotti da massimalisti e comunisti era peraltro – e coerentemente – altrettanto duro: è di Gramsci la definizione del deputato socialista come “pellegrino del nulla”.
A distanza di cento anni, la figura di Giacomo Matteotti testimonia come l’intransigenza morale si può e si deve accompagnare alla capacità di leggere la complessità del reale, all’impegno a ricercare soluzioni concrete ai problemi posti da tale complessità, alla disposizione al dialogo con gli avversari: un antidoto valido ancora oggi contro le degenerazioni di una politica gridata, in cui lo slogan sostituisce il ragionamento, la dialettica si trasforma nell’odio per chi la pensa diversamente, la banalizzazione e il tifo da stadio prendono il posto dell’analisi critica della società.