LA SCUOLA DOPO LA MORATTI
Ribadiamo intanto il nostro NO alla ulteriore regionalizzazione della scuola che si aprirebbe con la devolution e la “riforma” della Costituzione votata dal centrodestra e ci impegniamo per il NO al referendum costituzionale.
Pur tenendo conto delle novità introdotte dalla riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra che, soprattutto attraverso il concetto di “legislazione concorrente”, ha modificato l’equilibrio fra le competenze statali e regionali, la funzione legislativa in materia di istruzione deve essere mantenuta il più possibile dallo Stato, salve le competenze regionali in materia di formazione ed istruzione professionale.
Sottolineiamo pertanto alcune posizioni di fondo che condividiamo con l’Associazione “Per la scuola della Repubblica” (cfr. i documenti del Convegno nazionale di Firenze Una scuola pubblica per la cittadinanza):
a) tutte le risorse finanziarie devono essere destinate alla scuola pubblica (dello Stato e degli Enti locali), secondo il dettato dell’art. 33 della Costituzione.
b) gli indirizzi e i programmi dell'istruzione pubblica devono essere definiti nazionalmente in modo da delineare un progetto culturale unitario, pur con l'opportuna flessibilità che si può realizzare con l'autonomia;
c) la scuola pubblica deve essere il luogo di un effettivo pluralismo che si realizza sia con la libertà di insegnamento sia attribuendo reali poteri agli organi di democrazia scolastica;
d) la scuola pubblica deve essere garantita a tutti; a cominciare da una scuola per l'infanzia in relazione alla domanda sociale, per evitare che la frequenza delle scuole private sia necessitata dalla carenza delle strutture pubbliche;
La fine del governo Berlusconi e con esso della gestione Moratti del MIUR - ora nuovamente diviso in due Ministeri nei quali l’istruzione ridiventa “Pubblica Istruzione” - apre una nuova fase per la scuola italiana ed affida al centrosinistra la responsabilità di dare risposte positive all’annoso degrado della scuola pesantemente aggravato dagli interventi degli ultimi anni. Intanto è necessario che la nuova maggioranza esca dalle ambiguità che l’hanno caratterizzata nei mesi della campagna elettorale circa l’opportunità di abrogare, superare o semplicemente modificare i provvedimenti in materia di scuola voluti dal precedente governo. E’ ben vero che non è pensabile che ogni nuova maggioranza parlamentare annulli i provvedimenti di quella precedente, ma ciò non vale per la riforma Moratti: il problema non è tanto che essa si ispiri ad una visione politica che non condividiamo, quanto piuttosto – e ben più gravemente – che nella sua struttura portante configuri profili di incostituzionalità se non formale quantomeno sostanziale. Si pensi in particolare alla precoce canalizzazione dei percorsi formativi, che mette radicalmente in discussione la funzione di mobilità e di riequilibrio sociale che la scuola dovrebbe svolgere, proponendo al contrario un sistema formativo che tende a cristallizzare ed accentuare le disuguaglianze. La riforma Moratti non è dunque riformabile ma è da abrogare il più rapidamente possibile.
Questo non ci esime dall’indicare delle priorità.
In particolare e nell’immediato chiediamo al nuovo governo di intervenire sui seguenti punti:
1) Ripristinare la scelta del percorso formativo al termine dell’attuale scuola media, istituendo un successivo biennio secondario a struttura unitaria, tale da fornire a tutti una formazione culturale di base sufficientemente solida ed al tempo stesso di consentire ai ragazzi la sperimentazione di percorsi differenziati. Riproporre il principio costituzionale dell’obbligo scolastico, eliminando l’ambigua formulazione di diritto/dovere. In concreto, l’obbligo deve essere portato immediatamente fino al compimento del biennio superiore unitario, nella prospettiva dell’innalzamento fino al termine del quinquennio.
2) Rifiutare la divaricazione fra licei e formazione professionale regionale, che riesce al tempo stesso a svalutare la dimensione culturale della formazione liceale, a far scomparire quella tecnica e ad umiliare quella professionale. In particolare, un paese moderno non può fare a meno di un forte sistema statale di istruzione tecnica e di istruzione professionale, settori di cui bisogna rivalutare la specifica dimensione culturale e, insieme, arricchire la parte comune agli altri indirizzi di studio. La formazione professionale regionale ha senso solo come formazione aggiuntiva di professionalità e di raccordo con il mondo del lavoro.
3) Ricostituire il monte ore complessivo dell’offerta formativa decimato dalla riforma. In particolare ripristinare le modalità del tempo pieno nella scuola primaria antecedente alla “riforma Moratti”.
4) Limitare, a favore di percorsi più organici e strutturati, la proliferazione di insegnamenti facoltativi e opzionali, il cui eccesso tende a frammentare l’offerta formativa in un mosaico privo di senso. Ridare dignità e consistenza alla formazione di strumenti essenziali che solo la scuola può dare (quando non si mette in concorrenza con l’intrattenimento televisivo).
5) Ripristinare un autentico esame di Stato, unica garanzia del mantenimento di standard qualitativi quantomeno accettabili e senza il quale da un lato l’autonomia tende a trasformarsi in un sistema in cui regna la più arbitraria casualità, dall’altro non c’è nessun controllo sugli istituti scolastici privati paritari.
6) Annullare nella scuola secondaria la saturazione a 18 ore, introdotta dalla Finanziaria 2003, perché è causa di perdita di senso e di qualità del fare scuola, in quanto rende incerta la continuità didattica: adesso ogni anno l'orario deve essere rifatto con un puzzle di frammenti, tranne rimedi di buon senso a titolo di incerta concessione, rendendo così precario il rapporto dell'insegnante a tempo indeterminato con i suoi alunni e i suoi colleghi (aderiamo su questo punto all’appello diffuso dalla rivista “école”).
7) Incoraggiare concretamente forme cooperative tra le scuole, contro l’attuale tendenza degli istituti scolastici ad accaparrarsi, in concorrenza, genitori e studenti intesi come “utenti”, quando non come “clienti”.
8) Bloccare le pericolose tendenze “familistiche” che tendono ad emergere nell’organizzazione della vita scolastica (dalla possibilità di anticipare o meno l’ingresso dei bambini nella scuola a discrezione delle famiglie con il risultato di creare nelle prime classi situazioni pedagogicamente dannose di convivenza fra alunni di età diversa, alle ipotesi di riforma degli organi collegiali che sembrano voler attribuire un peso preponderante alle componenti esterne alla scuola, al finanziamento diretto o indiretto degli istituti scolastici privati in nome della pretesa libertà di scelta educativa): un peso eccessivo delle famiglie rischia fra l’altro di configurarsi come una prevaricazione nei confronti del diritto degli allievi a ricevere una formazione pluralista capace di favorire e stimolare una piena crescita culturale ed umana dell’individuo; una formazione che solamente la scuola pubblica e laica, non ideologicamente orientata, è in grado di garantire.
Più in generale, è necessario che la nuova maggioranza, pur nell’ambito dei vincoli di spesa posti dalla difficile congiuntura economica, riconosca nel sistema formativo la spina dorsale del rinnovamento del paese e vi impegni le necessarie risorse finanziarie, in primo luogo in funzione di un’indispensabile valorizzazione della professione docente, di un ampliamento degli organici e di una drastica riduzione del precariato.
Pur non ritenendo che competa al nostro Comitato elaborare una proposta organica di riforma, prendiamo atto con interesse della proposta di Legge d'iniziativa popolare “Per una buona scuola”, promossa da Rete scuole, e chiediamo che – con ampia e tempestiva consultazione e partecipazione del mondo della scuola – si metta mano ad una riforma conforme ai principi fondamentali della Costituzione. Per chi come noi si ispira alla laicità, la scuola è il luogo per eccellenza dell’incontro, del dialogo e del reciproco arricchimento fra prospettive culturali e politiche differenti. Non chiediamo dunque una scuola di parte e non ci aspettiamo dal nuovo Parlamento e dal nuovo governo una riforma che configuri una scuola “di sinistra”, ma un lavoro serio per la ricostruzione della scuola della Repubblica.
In tema di laicità della scuola, confermiamo la nostra contrarietà di principio al regime concordatario ed all’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica che da esso deriva; più in generale ribadiamo il nostro rifiuto di qualsiasi forma di insegnamento confessionale anche di altre religioni: non si corregge un errore moltiplicandolo. Ricordiamo che il precedente Governo si è distinto per una serie di provvedimenti miranti a garantire ed ampliare gli spazi dell’IRC: dall’immissione in ruolo degli insegnanti di religione al tentativo (pur due volte bocciato dal TAR) di introdurre l’IRC nel portfolio delle competenze e nella scheda di valutazione del primo ciclo. E’ dunque necessario che la maggioranza di centrosinistra si impegni a garantire quantomeno la piena ed effettiva facoltatività dell’insegnamento della religione cattolica, evitando rigorosamente furberie e mezzucci quali quelli sopra ricordati.
Infine, qualsiasi proposta di riforma deve tener conto dei grandiosi fenomeni culturali del periodo che stiamo vivendo, la cui cifra sono l’enormità e la velocità del cambiamento di una società nella quale – tra l’altro – la scuola ha cessato da tempo di essere l’unica agenzia formativa.