AGLI ASSESSORI ED AI CONSIGLIERI REGIONALI (sui buoni scuola e sugli oratori)
La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni esprime la propria totale contrarietà alla legge n°10 del 20 giugno 2003 ("Esercizio del diritto alla libera scelta educativa", meglio nota come "legge sui buoni scuola"), approvata dalla Regione Piemonte con il concorso dell'allora maggioranza di centrodestra e di alcuni consiglieri della Margherita.
Il provvedimento, varato in base alla norma costituzionale che attribuisce alle Regioni la legiferazione in materia di diritto allo studio, si configura in realtà come un finanziamento surrettizio rivolto pressoché esclusivamente alle scuole private, che in Italia risultano in grande maggioranza di orientamento confessionale cattolico.
Esso prevede, infatti, l'erogazione di assegni alle famiglie degli studenti,"a parziale copertura delle spese [ ... ] relative alla frequenza ed all'iscrizione", escludendo qualsiasi altro costo, quali quelli relativi ai trasporti, alla mensa, ai libri di testo, ecc.: poiché le tasse di iscrizione alle scuole pubbliche sono piuttosto contenute e rappresentano una quota minima delle spese complessive sostenute dalle famiglie, è evidente che l'unica voce di fatto finanziabile da parte della legge risultano essere le rette ben più elevate delle scuole private.
In pratica, grazie anche al regolamento applicativo del 17 ottobre 2003, che fissava una franchigia al di sotto della quale le spese non erano rimborsabili, nonché alcuni parametri di reddito per l'attribuzione dell' assegno, nella prima fase di applicazione della legge, alle famiglie degli allievi che frequentano le scuole private (in Piemonte circa il 7% del totale) è andato il 98,4% del valore complessivo dei buoni scuola erogati.
Inoltre, l’ultima erogazione di oltre 17 milioni di Euro di buoni scuola è stata a senso unico: ne hanno beneficiato 14.739 studenti delle scuole private (su un totale di 26.000 iscritti, pari al 56,69%) e solo 2.806 allievi degli istituti pubblici (su 413.000 iscritti, pari allo 0,68%); alle famiglie degli allievi delle scuole private è arrivato un contributo medio di 1.151 Euro, alle famiglie degli allievi delle scuole pubbliche un contributo medio di soli 94 Euro.
Ne risulta una evidente disparità di trattamento che configura veri e propri profili di incostituzionalità. In primo luogo, infatti, risulta violato l'art.33 Cost.,il quale, dopo aver affermato che "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione", precisa che ciò deve avvenire "senza oneri per lo Stato": è invece evidente che, andando i buoni scuola a pagare, tramite le famiglie, pressoché esclusivamente le rette delle scuole private, essi si configurano di fatto come un finanziamento a queste ultime. Appare anche sostanzialmente violato l'art.3 Cost., il quale garantisce che "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge", dal momento che i meccanismi del regolamento consentono, a parità di reddito, di attribuire il buono alle famiglie che mandano i propri figli alle scuole private e non a quelle degli studenti delle scuole pubbliche.
Più in generale, la legge in questione risulta in evidente contrasto con il principio della laicità dello Stato, erogando fondi pubblici ad istituzioni in larga maggioranza di orientamento confessionale. Palesemente infondata appare anche l'argomentazione, avanzata dai sostenitori del provvedimento, secondo la quale esso garantirebbe la concorrenza fra istituti scolastici pubblici e privati: non si vede infatti come si possa parlare di libera concorrenza a fronte di una legge che eroga soldi a favore di una sola delle parti. Quanto alIa "libertà di scelta educativa" delle famiglie tanto cara alIa parte più integralista del mondo cattolico, essa si configura di fatto come una prevaricazione nei confronti del diritto degli allievi a ricevere una formazione pluralista capace di favorire e stimolare una piena crescita culturale ed umana dell'individuo: una formazione che solamente la scuola pubblica e laica, non ideologicamente orientata, è in grado di garantire.
Non ci sembra, insomma, che debba essere favorita - e a maggior ragione con I'esborso di soldi pubblici - la frammentazione del sistema formativo in isole culturali scarsamente comunicanti, tanto più in una fase storica come l' attuale, nella quale la presenza in ltalia di un numero sempre maggiore di migranti provenienti da mondi diversi dal nostro rende la scuola laica uno dei pochi terreni di dialogo ancora praticabili.
La posizione assunta dall' attuale maggioranza di centrosinistra in Regione appare quantomeno ambigua. Da un lato, infatti, essa si è per il momento limitata ad una modifica del regolamento applicativo della legge n.1O. In realtà, l'unica novità significativa introdotta sembra essere la riduzione del tetto di reddito per I' accesso al buono scuola, che evita almeno la palese ipocrisia della precedente formulazione che pretendeva di far passare come interventi a favore del diritto allo studio sussidi elargiti anche a famiglie con redditi fino a 140 milioni di Lire di reddito nell'anno 2003: in ogni caso, il nuovo regolamento, in assenza di una modifica sostanziale del "paniere", ovvero dell'elenco delle voci di spesa finanziabili dai buoni scuola, non supera nessuna delle obiezioni sopra ricordate. I partiti di centrosinistra, d'altra parte, si sono impegnati in prospettiva all'abrogazione della legge, da sostituirsi con un nuovo provvedimento che dovrebbe comunque prevedere fondi a favore della “libera scelta educativa”.
In presenza di una tale situazione, chiediamo al Consiglio ed alla Giunta Regionale del Piemonte la pura e semplice abrogazione della legge sui buoni scuola, non solo aberrante per i suoi meccanismi applicativi, ma anche e soprattutto sbagliata per i principi su cui si fonda. A maggior ragione in un momento di difficoltà finanziarie, tutti i fondi regionali disponibili devono essere orientati al miglioramento della qualità della scuola pubblica ed in particolare alIa garanzia di un reale diritto allo studio. Su quest'ultimo punto, l'unica strada percorribile e costituzionalmente legittima è quella di giungere ad una nuova legge generale sul diritto allo studio che istituisca borse di studio definite esclusivamente sulla base del reddito familiare, tali da garantire l' accesso a tutti i livelli di istruzione anche agli studenti provenienti dalle fasce sociali disagiate, senza alcuna discriminazione rispetto alIa natura pubblica e privata della scuola frequentata.
Assolutamente inaccettabile, da questo punto di vista, appare la proposta, avanzata dall’Assessore all’Istruzione, nell’ambito della attuale maggioranza, mirante a superare la legge 10 con un provvedimento che sostituisca ai buoni scuola finanziamenti direttamente erogati alle scuole private onde consentire loro l’abbassamento delle rette per le famiglie con redditi al di sotto di una determinata soglia. Tale provvedimento risulterebbe ancor più iniquo e palesemente incostituzionale del precedente, oltre che in evidente contrasto con il programma elettorale su cui il centrosinistra ha ottenuto alle ultime consultazioni regionali il consenso della maggioranza della popolazione piemontese.
In base ai medesimi principi di laicità delle istituzioni, chiediamo che il Consiglio e la Giunta della Regione Piemonte non procedano al rifinanziamento della legge regionale n.26 dell' 11 novembre 2002, che consente di erogare ogni anno un milione di euro di denaro pubblico a favore delle attività di oratorio svolte dalle parrocchie. Infatti la funzione sociale e ricreativa svolta dagli oratori cattolici può essere ugualmente riconosciuta sotto forma di interventi a sostegno di associazioni sia pure di ispirazione religiosa, ma non coincidenti con strutture, quali le parrocchie, la cui natura confessionale volta al proselitismo appare evidente.
Su tali argomenti la Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni richiede urgentemente un incontro con la Presidente della Giunta, con l’Assessore all’Istruzione, con la Presidente della Commissione Istruzione e con i Presidenti dei singoli Gruppi Consiliari.