Da questo punto di vista, si può dire che la cultura consiste non tanto nel numero delle nozioni e nella massa dei materiali grezzi che in un dato momento ci troviamo ad avere immagazzinato nella memoria, quanto in quella raffinata educazione dello spirito, reso agile ad ogni lavoro, ricco di molteplici e sempre deste curiosità, in quella capacità d'imparar cose nuove, che abbiamo acquistata studiando le antiche. La cultura consiste nella forma stessa che noi, attraverso il lavoro dello spirito, riusciamo a dare allo spirito stesso. Consiste nell'abitudine dello sforzo tenace e penoso; nel bisogno delle idee logiche e chiare; nel gusto della iniziativa personale e critica; nella forza e nel coraggio di pensare con la nostra testa e di essere noi stessi; nella attitudine – insomma – di comportarci, innanzi a qualunque nuovo problema di pensiero o d'azione, come uomini ignoranti, bensì, e bisognosi di rinnovare e rettificare continuamente le nostre conoscenze, ma capaci di rettamente volere, rapidamente decidere, energicamente operare. IV – Chi possiede quest'insieme di attitudini e di capacità, che noi indichiamo col termine di «cultura», non può non possedere anche nella propria memoria un grande capitale di molteplici nozioni concrete, sieno professionali, sieno disinteressate. Una testa ben costruita è sempre anche una testa riccamente mobiliata. Perché nella mente che ha l'abitudine e il bisogno della logica, dell'ordine, della chiarezza, ogni nozione nuova, che penetra, è subito illuminata vivificata fecondata dall'accorrere intorno ad essa di tutte le nozioni antiche, tenute presenti dalla forza agile e duttile dello spirito. Un'idea non può determinarsi, che non diventi immediatamente centro di attrazione e di coordinazione armonica per altre idee, per altre esperienze, per altre ricchezze del pensiero. E questa abbondanza di nozioni concrete, in cui l'esperienza via via si condensa e si ordina, è il risultato necessario, inevitabile di quella educazione e fortificazione dello spirito, che è la vera «cultura». Ma guai se come fine del lavoro intellettuale noi ci proponiamo solo la moltiplicazione affannosa e frettolosa delle nostre conoscenze concrete, e trascuriamo la funzione vera dello studio, cioè il sereno armonico equilibrato sviluppo di tutte le nostre attitudini intellettuali. Allora mentre si rovina o si minaccia di rovinare il meccanismo delicato dello spirito, non si raggiunge nemmeno la moltiplicazione delle conoscenze concrete. Se voi, per esempio, nello studiare un libro di storia, assillati dalla smania di saper tutto, e oppressi dall'incubo della vostra ignoranza, non vi proponete altro fine se non quello di impadronirvi al più presto della maggiore quantità possibile di nozioni di storia; e dietro al primo libro ne vedete un altro che vi aspetta; e dietro questo un altro che vi rimprovera; e sempre avanti senza mai un minuto di riposo, senza mai un filo d'ombra, mai una possibilità di rilassamento ed abbandono; voi non otterrete altro risultato se non quello di sfiancare ed esaurire il vostro pensiero, ingombrandolo con una massa inorganica di informazioni slegate. Le quali potranno darvi per un momento forse l'illusione della cultura, ma spariranno ben presto dalla memoria; perché la memoria in generale non conserva se non le nozioni ben chiare e logicamente coordinate. E anche se la vostra memoria è così potente da non abbandonare mai nulla di ciò che ha una volta acquistato anche tumultuariamente, tutte quelle conquiste frettolose e disordinate non formeranno mai la cultura; non aggiungeranno nulla alla forza e alla bellezza e alla raffinatezza del vostro spirito: faranno della vostra testa tutt'al più una enciclopedia alfabetica o una bottega di rigattiere. Se, invece, voi studiate un libro di storia – dico un libro di storia fatto sul serio e non una raccolta di aneddoti più o meno dilettevoli o di inutilità più o meno erudite – se lo studiate per educare su di esso la vostra mente a sentire ed osservare la complessività della struttura sociale, la continuità del processo storico, la relatività delle istituzioni e delle idee, i rapporti di causalità e d'interdipendenza che stringono fra loro i fenomeni sociali consecutivi e contemporanei; se voi mirate, insomma, non tanto a mettere nella vostra memoria un gran numero di fatti, quanto ad educare il vostro spirito perché sappia osservare, criticare e valutare i fatti con pensiero non semplicista non intollerante non esclusivo; voi dovrete dedicare molto tempo a leggere e meditare riposatamente quel libro. E perciò dovrete rinunziare alla lettura e allo studio di moltissimi altri libri. E così introdurrete nella vostra cultura un numero relativamente scarso di fatti. Ma questi fatti rimarranno a lungo in voi: perché non sono polvere slegata e inorganica, ma formano un sistema compatto, le cui parti sono tutte saldamente incatenate con legami logici intimissimi a tutti gli elementi della vostra cultura: e voi non potrete mai far vivere nella vostra memoria una sola delle conoscenze così bene acquistate, che non vediate rifiorire subito con essa, senza artificio e senza fatica, tutte le altre. E quand'anche, fra uno, cinque, dieci anni, i fatti concreti acquistati oggi cadano dal vostro pensiero come le foglie d'autunno cadono ad una ad una dall'albero – e questo o prima o poi deve avvenire, – ed altre nozioni prenderanno il posto delle attuali, per cadere anch'esse alla loro volta e lasciare il posto ad altre; rimarrà sempre in voi una maggiore agilità intellettuale, un pensiero più vigoroso, più largo: e sarà questo il guadagno vero imprescrittibile fatto dalla vostra cultura. Perché la cultura vera – come con un paradosso profondo è stata definita – è «ciò che resta in noi dopo che abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo imparato». V – Purtroppo a noi avviene spesso di confondere la cultura vera dello spirito con la erudizione enciclopedica. Noi stentiamo assai a riconoscere, in noi e negli altri, la incapacità a conquistare la totalità delle cognizioni, la necessità penosa in cui ci troviamo d'ignorare un infinito numero di cose. Noi siamo tutti un po' come quella signora, che leggeva un romanzo all'anno, e parlava per tutto l'anno di questo romanzo, e trovava ignoranti tutti quelli che non avevano letto il suo romanzo, anche se conoscevano una infinità di altre cose che essa ignorava. Molto spesso noi – come quella signora – troviamo «strano» che gli altri non sappiano quel che sappiamo noi, anche se per contro sanno moltissime altre cose che noi ignoriamo. E tormentiamo continuamente gli altri e noistessi, perché non abbiamo il coraggio e l'umiltà di ammettere che le nostre capacità di apprendimento sono e saranno sempre limitate, e che in queste condizioni tanto gli altri quanto noi abbiamo il diritto sacrosanto di essere e di rimanere ignoranti di un numero infinito di cose. Tutti i sistemi scolastici, non solo del nostro, ma anche più o meno degli altri paesi, si fondano sul disconoscimento sistematico del diritto che hanno i giovani ad ignorare una quantità infinita di cose. Se noi esaminiamo, ad una ad una, in che modo sono entrate nella nostra cultura le nozioni concrete ond'essa è oggi costituita, dobbiamo riconoscere che le pochissime nozioni concrete che noi oggi possediamo, le abbiamo conquistate dopo la scuola, attraverso tutta la nostra vita, con la esperienza occasionale di ogni giorno, leggendo libri e riviste, ascoltando conferenze e lezioni pubbliche, conversando e discutendo con gli amici, andando al cinematografo – recentissimo mirabile veicolo di cultura, – guardando i quadri di pubblicità, leggendo i giornali: soprattutto leggendo i giornali quotidiani, i quali con tutti i loro difetti sono ai nostri giorni i più ricchi ed efficaci ed economici distributori della più varia cultura. [...] Vuol dire questo che la scuola sia stata inutile? Vuol dire che la scuola – stando sempre all'esempio della geografia – per esserci utile, avrebbe dovuto farci imparare a memoria in precedenza tutti i nomi di tutta la superficie terrestre, per tenerli pronti sotto la punta delle dita e localizzare immediatamente qualunque guerra o scaramuccia e qualunque incidente di qualunque genere, che possa occorrere giorno per giorno dalla Tripolitania alla Persia, dalla Cina al Marocco? Sarebbe grave errore pensare così. La scuola, se è stata ben fatta, ci ha fatto comprendere l'importanza del fattore geografico nella storia; ci ha insegnato a leggere le carte geografiche e ad interpretare immediatamente i simboli convenzionali; ci ha dato alcune idee fondamentalissime e generalissime sulle distanze, sui climi, sulla forma della superficie terrestre, sulla distribuzione delle masse continentali, sui regimi politici ed economici, ecc.; e sotto la luce di queste idee generali, le notizie più minute e impreviste, che giungono a noi giorno per giorno, acquistano significato, colore, vita: quasi quasi non ci sono neanche impreviste; le troviamo naturali; oppure escludiamo senz'altro che sieno vere; oppure dubitiamo che possano esser vere. La scuola – se è ben fatta – ci ha date le chiavi per aprire le serrature; ci ha dato le bussole per dirigerci sul mare dei fatti, e per metterci in guardia contro le affermazioni poco attendibili o del tutto mendaci; ci ha dato il senso delle proporzioni e della prospettiva; ha preparato il nostro pensiero a ricevere via via i germi, che poi hanno fruttato; ha educato in noi il gusto e la disciplina dello studio; ci ha insegnato il modo di imparare per conto nostro, via via che se ne presentava il bisogno o l'opportunità. Tutte le conoscenze, che possono esserci comunque necessarie o utili o piacevoli nella vita, ce le procuriamo poi noi, per conto nostro, dopo la scuola, durante tutta la vita. Ma senza quella precedente disciplina intellettuale fornitaci dalla scuola, le mille svariatissime e spesso contraddittorie nozioni che raccogliessimo giorno per giorno, non coordinate da una forza organica di pensiero, sarebbero non cultura, ma polvere incoerente e pesante e inutile di cultura. Ora per ottenere questo risultato benefico, occorre che la scuola non abbia la pretesa di insegnar tutto. Basta che dia all'alunno un piccolo numero di idee chiare e di nozioni logicamente ordinate su cui e per cui ognuno possa costruirsi da sé il proprio mondo pratico e ideale.